Una interessante sentenza dalle Cassazione (sentenza 31 agosto 2018, n. 21516) affronta il tema della indennizzabilità del danno occorso al dipendente mentre si reca al lavoro utilizzando la propria bicicletta quale mezzo di trasporto privato.
La Corte d’Appello aveva ritenuto che l’utilizzo della bicicletta da parte del dipendente non potesse costituire una scelta necessaria e come tale, in caso di infortunio, il lavoratore non avrebbe potuto beneficiare della tutela assicurativa dell’INAIL.
La materia è disciplinata dal Testo Unico n. 1124/1965 che, all’art. 210 ultimo comma, nel testo integrato dall’art. 12 del d. lgs. 38/2000, stabilisce: «l’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato».
Nel caso di specie secondo i Giudici, pur in assenza di mezzi pubblici che consentissero al lavoratore di recarsi al lavoro, era da escludersi la necessità dell’uso del mezzo privato in questione ai sensi della normativa sopra indicata, non rivestendo peraltro tale attività uno “spessore sociale utile tale da giustificare un intervento di carattere solidaristico a carico della collettività”. In sostanza l’utilità sociale legata all’utilizzo di un mezzo di trasporto ecologico non poteva ritenersi di rilevanza tale da dover garantire la tutela assicurativa in caso di infortunio.
I Giudici di legittimità, con un ragionamento diametralmente opposto, hanno invece ribaltato la pronuncia.
La Cassazione ha infatti riconosciuto come l’utilizzo della bicicletta nel caso in questione dovesse sicuramente essere considerato un “utilizzo necessitato” stante l’assenza di mezzi pubblici nel tragitto casa-lavoro e l’impossibilità di percorrere a piedi il tratto in questione, anche a tutela della salute e della integrità psicofisica del lavoratore.
Richiamando alcuni precedenti, la Suprema Corte ha rilevato come l’uso della bicicletta “può essere consentito secondo un canone di necessità relativa, ragionevolmente valutato in relazione al costume sociale, anche per assicurare un più intenso rapporto con la comunità familiare, e per tutelare l’esigenza di raggiungere in modo riposato e disteso i luoghi di lavoro in funzione di una maggiore gratificazione dell’attività ivi svolta, restando invece escluso il cd. rischio elettivo, inteso come quello che, estraneo e non attinente all’attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del dipendente, che crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella ad essa inerente”.
Ciò che risulta di particolare rilievo è che la Corte pone al centro della propria ordinanza la modifica legislativa intervenuta ad opera della Legge n. 221/2015 che ha introdotto disposizioni volte a promuovere misure dirette ad una maggiore sostenibilità ambientale.
La legge citata ha apportato modifiche anche alla disciplina dell’assicurazione sociale. L’art. 5 comma 5 della L. 221/2015, intervenendo sull’art. 210 del T.U. n. 1124/1965, ha infatti espressamente previsto che debba considerassi sempre necessitato l’utilizzo della bicicletta come mezzo privato per il raggiungimento del posto di lavoro, in considerazione dei positivi riflessi ambientali connessi all’uso di una mobilità sostenibile.
E’ pertanto la stessa legge a sancire oggi il diritto del lavoratore ad essere tutelato sotto il profilo assicurativo anche per l’infortunio eventualmente occorso durante il tragitto casa-lavoro effettuato utilizzando la propria bicicletta.
Da questa pronuncia emerge come la tutela dell’ambiente stia sempre di più assumendo un ruolo fondamentale in ogni aspetto delle relazioni economico – sociali, ivi comprese quelle inerenti lo svolgimento del rapporto di lavoro.
fonte:altalex